Scritto di notte è l’autobiografia di Ettore Sottsass: il racconto di un grande architetto e designer, tra i più importanti innovatori del linguaggio del progetto rispetto alla tradizione del Movimento Moderno.

L’autore, prima ancora che di architettura e design, parla di sé, rivelando passo dopo passo il suo sguardo sulle cose e sulle persone. Ricorda la prima infanzia a Innsbruck, quando il padre architetto volle subito mettergli una matita in mano, come a favorire un destino che forse già intravedeva. E  racconta poi del trasferimento della famiglia a Torino, vista come città di nuove occasioni e opportunità, dove il pittore Luigi Spazzapan gli trasmetterà un consiglio fondamentale: “Parli sempre poco di se stesso, di quello che ha fatto o non ha fatto, di quello che farà, di quello che ha detto, di quello che è. Parli poco di se stesso, non soltanto per non annoiare gli altri, ma per non annoiare se stesso, per non credersi degno di tante parole, spiegazioni, introspezioni, lamenti, errori, eroismi, lodi, piedistalli”.

Poi la storia diventa quella di Milano negli anni Cinquanta e Sessanta: Brera, il bar Jamaica e la trattoria delle sorelle Pirovini, “le due sante vergini che davano da mangiare e da bere a credito a un’ immensa banda di pittori, scrittori, poeti, registi, giornalisti”.

E ancora la relazione di Sottsass con Fernanda Pivano prima e Barbara Radice poi, i viaggi in America e in India, ricchi di aneddoti e incontri con personaggi curiosi e originali.

Per tornare infine a Milano, nel settembre del 1981, quando viene presentata la collezione “Memphis”, che comprende mobili e oggetti, disegnati da Sottsass stesso e da altri designer. È questo, un momento cruciale, lo storico “tentativo di proporre una nuova intensità, di comunicare emozioni, di trasmettere più informazioni, di usare più aromi, di mettere più sapore in quel design che ormai sapeva troppo di cartone”.

Nel libro questi mobili, questi oggetti sembrano riflettere immagini portate dal tempo e dai luoghi che Sottsass ha vissuto, restituendoci il suo sguardo sul mondo.

È lo sguardo di un architetto ma anche di un grande fotografo, capace di candore e meraviglia. Uno sguardo custodito dentro di sé e affidato principalmente alle sue opere: così come dovrebbe sempre essere per chi progetta e trasferisce nei suoi lavori parte della propria vita.

Paolo Golinelli – 2010

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